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Pubblicato: 3 anni ago

Ladri di ciliegie

Domenica 4 luglio riparte nell’access prime time di Raiuno l’appuntamento televisivo più atteso dell’estate (e, per molti, dell’intero anno): quello con Techetechetè e le sue videoschegge attinte agli inesauribili archivi RAI. Per l’occasione vi riproponiamo due godibilissimi scritti – diversamente argomentati sull’immarcescibile seduzione della tele-Mina in bianco e nero – firmati rispettivamente dal geniale Stefano Bartezzaghi (che ci piacerebbe coinvolgere presto in una monografia sui molteplici omaggi che il mondo dell’enigmistica ha dedicato nel corso degli anni alla Tigre tra rebus, cruciverba, sciarade, rompicapo, quiz e incontri vari con Sfingi & affini) e dall’immenso e irripetibile Antonio Amurri
“Chi lo sa. Magari a essere un po’ più giovani, o addirittura “nativi digitali” (quella è la nuova aristocrazia generazionale), potrebbe anche capitare di aprire il sito di YouTube e scrutare l’home page con la raffrenata avidità che un bibliofilo prova davanti ai suoi scaffali. Ma anche senza partire proprio dal sito, arrivare a Youtube è quasi inevitabile: si è cercato un nome su Google, si è cliccato un link da Facebook o da Twitter, si aveva un dubbio sul titolo di una canzone e ci si ritrova a sentire e vedere non la sola Sacumdì Sacumdà, ma proprio tutto il repertorio della Mina stupenda in bianco e nero. E via, un altro pomeriggio è andato (…)”.
(Stefano Bartezzaghi, da “Quel sito-ciliegia dove un video tira l’altro”, la Repubblica, 19 luglio 2012)
“Lunedì pomeriggio, a tradimento, Raiuno ha trasmesso un’ora intera di Mina. Il che non è carino. A noi che assistiamo alle povere esibizioni non-stop delle cantanti attualmente su piazza e purtroppo su piazza e purtroppo su video, un simile choc musicale e visivo potrebbe procurare pericolose crisidi rigetto. Mina è un miracolo di musicalità che milioni di noi giudicano poco ripetibile (infatti non si è ancora ripetuto). Tuttavia è bene che la RAI ci procuri il piacere di rivederla, sì, ma a piccole dosi, per non turbare il nostro equilibrio di spettatori di Festivalbar. Ci dia Mina, che so, la mattina alle 9,30. Poi alle 10. Poi magari alle 11,15. Poi molto più tardi, alle 12. Poi dopo il TG1 delle 13,30. Poi alle 16, alle 17, 18, 19 e 20, poi alle 22. E alle 24. Di ogni giorno.
Ecco, non di più.”
(Antonio Amurri, da Il giorno, 1989)