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Pubblicato: 1 anno ago

Ve ne dico Quattro

Quando manca  una settimana esatta dal lancio sul mercato fisico e digitale dell’attesissimo The Beatles Songbook, vi (ri)proponiamo dalla nuova fanzine l’incipit del minuzioso dossier Quattro ragazzi per me in cui Antonio Bianchi ripercorre i sessant’anni di passione tra Mina e i Fab Four…

di Antonio Bianchi – Cover: Mauro Balletti

Hanno rappresentato la musica nell’accezione più libera, istintiva e rivoluzionaria. E oggi, a sessant’anni dal loro debutto e a cinquantadue dallo scioglimento, incarnano il riferimento imprescindibile per chi ama la musica e anche per chi ama leggerne, scriverne e studiarla. Perché ai Beatles è legata una bibliografia infinita che rappresenta la traccia più preziosa per indagare la musica pop rock. Anche fra gli addetti ai lavori, c’è chi non ha mai ascoltato un loro disco e ignora la sorprendente evoluzione che si dipana nell’ascolto in ordine cronologico della loro produzione. Ogni album dei Beatles, specie dal ’65, è un triplo salto in avanti, un record polverizzato. C’è chi ne riduce la portata accostandoli ad altri “miti”. Pensiamo alla sempiterna contrapposizione con i Rolling Stones (che incarnano una dimensione ben più parziale del concetto di musica) o pensiamo a Elvis, mito generazionale più che musicale. Gli emuli di The Pelvis sono imbrigliati al suo personaggio più che alla sua musica. Pensiamo a Little Tony, a Johnny Halliday e ai mille altri emuli in giaccona variopinta, frangiona e brillantina. Pensiamo anche alla timbrica di chi si avventura nel repertorio presleyano: tutti ricreano pedissequamente il modello di riferimento. Mina compresa. Come se cantare Elvis imponesse costantemente il ricorso al modello originale. 

Anche i Beatles sono – generazionalmente – frutto della rivoluzione presleyana. Ma il loro apporto alla musica è andato infinitamente oltre. Per cantare i Fab Four non serve rappresentare visivamente il riferimento. E men che meno è necessario ricrearlo timbricamente e stilisticamente. Questo materiale si presta alle atmosfere strumentali più diversificate, ai repertori più lontani e alle soggettività stilistiche più estreme: dai musicisti classici ai jazzisti incalliti, dalle rock band (soft e heavy metal) alle più grandi voci classiche (da Sinatra in poi).

L’elasticità è la caratteristica più interessante dei sopralluoghi mazziniani in ambito beatlesiano. Con un’evidenza che, nella nuova antologia, si delinea con una chiarezza preclusa ai generici album di cover, che mescolano generi, repertori e riferimenti stilistici troppo variegati per consentire indagini terse. Stavolta, la formula è adottata sulla base di un riferimento univoco (il repertorio beatlesiano, appunto) e consente annotazioni ben più unanimemente soppesabili. A cominciare dalle modalità d’approccio al repertorio dei Fab Four. Che si rivelano sorprendentemente libere, senza briglie. Mina lambisce i classici beatlesiani da prospettive diverse, mutando costantemente intenzioni e punti d’osservazione (…).