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Pubblicato: 3 anni ago

Sotto il segno della Scimmia

Mentre il nuovo straordinario jingle Questa è Tim continua a spopolare in tutte le Reti televisive apprestandosi a superare i 14 milioni di visualizzazioni su youtube (che volete farci: oggi il successo di una canzone si quantifica così…), il prossimo 12 gennaio vedrà la luce nelle edicole con TV Sorrisi e Canzoni la ristampa su CD del mitologico Mina del 1971. L’emissione, come è noto, fa parte della collana I GRANDI ALBUM ITALIANI 1970-2020 curata da Paolo Maiorino (responsabile del catalogo Sony Music ) ed è arricchita da un booklet illustrato con curiosità sul disco e notizie relative al momento storico in cui esso fu pubblicato. Proprio dieci anni fa, nella fanzine 72, dedicammo all’LP – in occasione del suo smagliante quarantennale – un ampio dossier monografico di cui vi riproponiamo l’incipit…

di Antonio Bianchi

Per svariati anni – fin quando la discografia PDU era a prezzo pieno, ammantata di lusso ed esclusività – è stato l’album di inediti più tacitamente ammirato e rispettato di Mina. La considerazione era così unanime da apparire scontata. Così, per non essere tacciati di banalità, si preferiva dichiarare una più spiccata preferenza per altri dischi, bellissimi ma associati a tenerezze più “soggettive”: che so? 5043, Altro, Frutta e verdura, Mina con bignè… L’unico equivalente – in un campo d’azione ben distinto, senza invasioni di campo – era Attila, emblema della Mina “modernista”. Ma il capolavoro della Mina “classica” era – per la stragrande maggioranza – l’album omonimo del 1971, meglio noto come La Scimmia.

“Il disco streisandiano?”. Chi ha più di quarant’anni capisce al volo di quale album si stia parlando, permeato di un nitore belcantistico “molto Barbra”, impregnato di un gusto orchestrale internazionale, levigato, accurato, rifinito, sciccosamente easy listening (nell’accezione aristocratica che non si usa più)… Può sembrare una considerazione campata per aria agli occhi di chi non distingue fra la Mina di oggi, di ieri e di ieri l’altro, di chi si accosta al suo mondo senza discriminare cronologicamente e stilisticamente quale Mina stia cantando. Eppure l’essenza “streisandiana” della Scimmia ha una sua precisa ragion d’essere. La nuova estetica vocale e interpretativa emerge con disarmante evidenza se raffrontata ai due album precedenti – i quasi gemelli Bugiardo più che mai, più incosciente che mai e Quando tu mi spiavi in cima a un batticuore –, le cui affinità sono dichiarate anche a livello grafico: stesso sfondo nero, stessa espressione pensosa, stessi caratteri tipografici, stesso titolo fiume estrapolato dai versi del brano d’apertura della seconda facciata… 

Insieme alle copertine, con la Scimmia, muta anche il riferimento all’immagine. Perché il 1971 è il primo anno dell’invisibilità mazziniana dai tempi di Baby Gate. In concomitanza con l’arrivo di Benedetta (a proposito: bravissima in Africa Benedetta. Sveglia, simpatica e fascinosa. Se ne parla. E piace molto). Mina sembra volersi rifocillare di segretezza e intimità. Le uniche eccezioni, a inizio anno, sono le copertine di Amor mio (un bellissimo scatto di Bertolini dal Carosello di Attimo per attimo, con Son of man di Magritte sullo sfondo) e di Del mio meglio (con altre immagini tratte dai filmati Barilla, in questo caso da La voce del silenzio) e i video “casalinghi” destinati alla promozione di Amor mio e Capirò. I due filmati hanno il sapore di una concessione: “Va bene, facciamoli. Ma che non mi si parli di foto e di TV per almeno un anno”. Così, Mina non è sulla copertina del 45 giri di fine anno, Uomo/La mente torna (o viceversa, per i puntigliosi attenti ai numerini). Non è sulla copertina dell’album (per di più omonimo). E – aspetto illuminante – non è neppure nella foto interna: quel tramonto è un’esplicita dichiarazione. (…)