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Pubblicato: 7 anni ago

Love for sale

Nei primi mesi del 1996 il settimanale Pubblico condusse un sondaggio tra un centinaio di pubblicitari sui personaggi ritenuti testimonial ideali. In testa alle preferenze risultò Papa Wojtila (le cui quotazioni per apparire in un ipotetico spot furono conteggiate come “inestimabili” qualunque fosse stato il prodotto da lui reclamizzato) seguito da Umberto Eco (valutato 5 miliardi) e da Enrico Cuccia e Mina a pari merito con 3 miliardi, mentre quinti ex aequo a quota 2 miliardi si classificarono Claudio Abbado e Giorgio Strehler. Tutti personaggi, come si vede, il cui straordinario appeal commerciale faceva il paio con la loro scarsa o inesistente predisposizione al presenzialismo mediatico. Nel caso della Tigre, poi, il suo altissimo piazzamento nella graduatoria fu giudicato tanto più sorprendente alla luce dei ben 18 anni trascorsi dal suo ritiro dalle scene. Da allora sono passati altri due decenni di semitotale invisibilità e – come le cronache di questi giorni sanremesi ci dimostrano – la forza attrattiva che il nome di Mina esercita nel volubile mondo della comunicazione pubblicitaria continua a non conoscere flessioni. E il bello è che – caso forse unico tra i big non solo italiani di oggi e di ieri – la sua credibilità ed efficacia come testimonial resistono intatte fin dai tempi remoti in cui, da diciannovenne reginetta dell’Urlo, registrò i suoi primi Caroselli per la Pasta Combattenti, i frigoriferi Atlantic e l’amaro Cora per poi diventare – tra il ’61 e il ’63 – la “ragazza tutta Birra” negli short dell’Industria Italiana della bionda bevanda. Come stupirsi, quindi, del clamore suscitato dalla notizia dei suoi interventi “in voce” che accompagneranno le performances del ballerino Just Some Motion negli spot TIM trasmessi nelle cinque serate del Festival? Ci ha fatto un po’ sorridere il tono scandalizzato con cui un corsivista del Fatto quotidiano ha criticato il paginone di Repubblica sui cinque “spottoni” della Tigre: “Se pure le réclame vengono vengono camuffate da notizia da prima pagina (e un jingle commerciale trasformato in “canzone”) non biasimiamo i lettori che disertano le edicole”, ha populisticamente sentenziato il commentatore, cui forse sfugge il fatto che proprio sui soldi piovuti dai tanto deprecati sponsor si regge in gran parte la costosa ‘macchina da guerra’ sanremese. Quanto alle cinque differenti versioni di All Night che la Signora ha inciso per l’occasione, un “caro qualcuno” che ha avuto il privilegio di ascoltarle in anteprima parla di una Mina “grandissima, modernissima, pazzissima, ancora una volta “nuova” come lei riesce a essere solo quando si diverte tanto tanto…”.