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Pubblicato: 4 anni ago

E unico sarai…

Vi anticipiamo l’intrigante incipit del “ritratto d’autore” che il nostro Antonio Bianchi dedicherà nella prossima fanzine ai 40 anni di carriera di Massimiliano…
di Antonio Bianchi
Fra i music maker – definiamolo così, con un termine molto in voga negli anni della sua formazione – è quello che vanta il percorso più minuziosamente articolato, sfaccettato e agevolmente percorribile. Perché Massimiliano Pani non è emerso da un passato oscuro di strumentista, di turnista, di compositore, di paroliere, di cantautore, di arrangiatore, di corista, di produttore, di discografico… Non ha alle spalle una gavetta buia, inconoscibile o marginale, come altri musicisti e arrangiatori di fama cresciuti in gruppi rock giovanili, in formazioni bandistiche, in orchestre spettacolo, alle prese con palcoscenici improvvisati sui vani di carico dei camion, sagre, feste di piazza, circoli cittadini, locali di provincia… Al contrario: la sua formazione è avvenuta a riflettori accesi sin dai primissimi passi. Una visibilità costante che non ha molti paragoni. Ed è doveroso, per una volta tanto, provare a leggere il suo percorso da una prospettiva diacronica che non si limiti alle semplificazioni spicciole, quelle del passato (quando era, semplicemente, un “figlio d’arte” oggetto di facili critiche, impreparato al ruolo prestigioso chiamato a ricoprire) e quelle del presente (pullulante di rispetto e ammirazione anche da parte dei critici più esigenti e severi, che ormai lo dipingono unanimemente come professionista meticoloso, autorevole, nonché – non lo si dice ma ormai è un dato di fatto – unico interlocutore adeguato alla monumentalità mazziniana).
Per risalire alle origini del ruolo di Massimiliano Pani è bene menzionare una delle considerazioni ricorrenti nelle interviste e negli articoli di Mina del post-‘78: “Sto cercando un arrangiatore quindicenne”. È una delle dichiarazioni più illuminanti – e meno analizzate – per interpretare una delle direzioni (molteplici) del percorso mazziniano, voce “classica”, sì, ma da sempre protesa in avanti, in cerca del nuovo, dell’inaudito e di stimoli musicali diversi da quelli già battuti. Non “canzoni alla Mina”, arrangiate strizzando l’occhio al proprio passato più prevedibile. Le grandi rivoluzioni musicali – mi tornano in mente certi accordi e certi fantasiosi sperimentalismi dei Beatles che, digiuni di tecniche di conservatorio e dogmi, potevano sospingersi, per puro istinto, in territori inesplorati – sono frutto della strafottenza giovanile, dell’anarchia, di una creatività selvaggia e indisciplinata, dell’assenza di freni inibitori e, perché no, anche di un pizzico di inconsapevolezza grammaticale. Vale per tutti gli ambiti d’azione. A cominciare dalla scienza. Le grandi università fanno di tutto per accaparrarsi i giovanissimi geni della matematica e della fisica, prima che la loro sfrontatezza, la libertà e l’istinto si stemperino nel mestiere, nell’accademismo, nella prevedibilità (…)