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Pubblicato: 7 anni ago

Doppia identità

Finalmente in stampa dal 9 gennaio e in spedizione nella settimana successiva, la nuovissima fanzine 81 avrà come ovvio pezzo forte il dossier dedicato al trionfale Le Migliori che proprio in questi giorni si appresta a conquistare il suo quarto – ma certamente non ultimo – disco di platino. Ma l’ebbrezza per i fasti del presente non ci ha impedito di tuffarci con la consueta voluttà in uno dei nostri irrinunciabili dossier monografici sulla Mazzini di ieri, soffermandoci stavolta su un’annata – il 1974 – e su un doppio album – Baby Gate & Mina R – più che mai meritevoli di un’indagine approfondita. Eccovi in anteprima lo stuzzicante incipit della recensione dei due LP a cura di Antonio Bianchi…

di Antonio Bianchi

Una parentesi discografica esclusiva ed eccitante. Come il momento più bello di una serata di festa. Che non è la festa in sé, pullulante di voci, di volti, di bicchieri, di luci… Bensì l’epilogo, quando ci si ritrova con pochissimi intimi – due o forse tre; quattro sono già troppi – ad assaporare l’eccitazione del raccoglimento ritrovato, a condividere tangibilmente la vera sintonia, ad assaporare il lusso delle ore piccole e a snocciolare il mare magnum di stimoli e di aneddoti (chiamiamoli pure pettegolezzi) captati nel corso della serata.

Il doppio Mina® e Baby Gate arriva dopo i bagordi di Milleluci, dopo la scorpacciata di rotocalchi, dopo il cicaleccio giornalistico, dopo le rivalità fra regine del sabato sera, dopo la sfida dei tacchi, dopo la visibilità del look Frutta e verdura, dopo il successo a 45 giri di E poi e di Non gioco più, dopo Gran Varietà, dopo La scala buia, dopo tivù, radio, rivista, avanspettacolo, cafè chantant, musical, cabaret, operetta, circo… Un anno densissimo. Mina lo corona puntando sulla decompressione del bianco, su due disegni (strepitosi) che giocano sulla contrapposizione fra la giocosa grandeur giovanile e l’adulta segretezza della Mina contemporanea, sull’assenza di un singolo trainante (in barba all’appeal commerciale del doppio, incrementabile con l’inserimento delle attraenti sigle di Milleluci e Gran Varietà), sulla negazione del singolo estratto (Due o forse tre, Nuur, Distanze, L’amore è un’altra cosa, Caravel…), su una densità di stimoli musicali nuovi (diversissimi dai tanti dispensati a Milleluci) e con riferimenti generazionali inediti (perché il repertorio affrontato in Baby Gate strizza l’occhio ai ricordi e all’immaginario di un pubblico di acquirenti intorno ai trent’anni. Ed è un suggerimento tacito alla fascia generazionale cui il doppio – esclusivo ed economicamente impegnativo – si rivolge. Vale anche per gli inediti di Mina®, impregnati di un’eleganza consapevole, privi di ammiccamenti, destinati a una platea adulta ed esigente). (…)