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Pubblicato: 1 anno ago

Tu che sei diversa

di Gennaro Reder

Se c’è una cosa che mi fa impazzire di Mina è il suo non essere mai uguale a sé stessa, pur nella coerenza della sua storia musicale. La sua unicità sta nel non ripetersi quasi mai e nell’osare sempre qualcosa di nuovo, di inaspettato. Anche questa volta, con “Ti amo come un pazzo” ci ha spiazzato, regalandoci una tavolozza di canzoni sempre più variopinta e contemporanea. Il mare di polemiche suscitate dall’annuncio del duetto con un giovane “scostumato e poco rispettoso”, così apostrofato dagli “integralisti” più buoni, non scalfisce di un grammo la credibilità di una cantante che da oltre sessant’anni si rinnova continuamente. Che poi Mina la puoi criticare, se vuoi, ma aspetta almeno di sentire che cosa ha da dirti con la sua voce, attraverso il suo lavoro da artista. Come d’incanto, infatti, con l’arrivo nelle radio del singolo “Un briciolo di allegria”, tutto si è silenziato: il brano con Blanco ha sbaragliato tutti, schizzando subito in vetta alle classifiche. Mina, con intelligenza e professionalità, è entrata nel mondo di Blanco, mettendosi al servizio della canzone, alla pari direi, impreziosendola con la sua presenza e il suo carisma, ma con quel guizzo di genialità che l’ha sempre contraddistinta (quel “Ra-pa-pa-pa-pa-pa-pa-pa” finale resterà nella memoria di tutti noi).

Ed ecco che esce l’album, (“Mina, ti amo come un pazzo”… chissà quante volte lo abbiamo detto ascoltandola cantare) e la sorpresa è servita: ci immergiamo in un lungo film che si dipana in 12 scene d’amore (10 su vinile), tutte intense. S’inizia nel segno di Ozpetek, sempre di cinema parliamo, con  “Buttare l’amore”, sigla della serie TV tratta dal film “Le fate ignoranti” e si termina con “Povero amore”, che il regista turco ha scelto per il suo prossimo film di Natale. I brani sono, già al primo ascolto, due best seller, appartengono a quell’amore dolente disseminato in tutta la sua carriera discografica, da “Bugiardo e incosciente” a “Luna diamante”. Mina apre come dolente vittima di un amore consunto “E così, io ti guardo buttare l’amore, resto qui, e finisco per farmi del male”e chiude come dolente carnefice “Oh, povero amore, povero cuore, io ci ho giocato col tuo dolore. Ti ho calpestato con l’indifferenza, ti ho conquistato con la prepotenza di un dittatore”. Nel mezzo, una serie di perle, piccole e grandi, tutte preziose: dal rock blues di “Come la luna”, con tutta la solitudine di una donna che non riesce a farsi amare, al classicissimo  “Lascia”, un invito a credere sempre e comunque nell’amore, incontriamo inediti emozionanti come “Fino a domani” di Federico Spagnoli, un autore che negli ultimi anni ha saputo dare a Mina canzoni belle da cantare e da ascoltare, nelle quali lei sembra particolarmente riconoscersi, restituendoci in pieno tutta la sua grandezza di interprete senza tempo. Così come accade con “Non ho più bisogno di te”, canzone in cui Viola Serafini, già autrice dell’ottima “Troppe note” in Maeba, offre alla Mina più anticonformista quelle parole che sanno dare nuova luce e nuovo colore alla sua voce, il tutto sottolineato da un originalissimo tappeto musicale costruito da Franco Serafini, che io considero uno dei migliori arrangiatori presenti da tempo nella discografia mazziniana. Piccola grande chicca è “L’orto”, ennesimo divertissement a cui Mina ci ha abituati, dai tempi di “Ma che bontà” e “Ma chi è quello lì”. Tra le canzoni “piccole” ma che faranno strada, “La gabbia”, uno di quei brani che si rivelano prima timidamente, per poi svelarsi uno di quelle meraviglie che resteranno nel tempo e oltre le mode. Il jazz più raffinato ed elegante Mina ce lo regala con la cover di “Tutto quello che un uomo”, amata canzone di Sergio Cammariere che lei riprende senza stravolgerla, rallentandola in alcuni passaggi, cantandola come va cantata, rendendola “evergreen”.

Ma Mina è soprattutto interprete d’eccellenza, voce senza compromessi, anima che sa riconoscere la bellezza in ogni sua forma ed è quella che io ho sentito nei due brani che più di ogni altro mi hanno emozionato fino ai brividi, fino alle lacrime. Il primo è  “Don Salvatò”, disperata preghiera laica del grande Enzo Avitabile, alla quale Mina si approccia con grande rispetto e con evidente emozione. Mina scandisce le parole, tra l’altro in un ottimo napoletano, con un realismo incredibile, con l’esperienza di un’artista di livello altissimo e, contemporaneamente, con la semplicità e l’umiltà di una persona che prega intensamente. Un capolavoro. 

L’altro brano da antologia è “Zum pa pa”, un viaggio onirico che trovo stupefacente. Mina ci accompagna nell’universo, straniante e felliniano, ma anche chapliniano, del circo come metafora della vita. Con il suo incedere delicato e poetico, la sua voce ci rende partecipi di quel mondo cinematografico, visionario e mitico, che ci è tanto caro. 

“Ti amo come un pazzo” è una summa di tutte le sfaccettature che Mina sa offrire ai suoi ammiratori, ma anche a tutto quel pubblico, soprattutto quello più giovane, che sa chi è ma la conosce poco. Per noi fans è sempre il ritorno più gradito, quello che ci rende felici di apprezzarla e amarla. Ma più che amarla come un pazzo, Mina la si ama soprattutto come una vecchia amica che ogni tanto sparisce ma che poi, quando torna, ti rendi conto che non se n’è mai andata, che è sempre lì, presente e contemporanea.