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Pubblicato: 8 anni ago

Noi sappiam parlar d’amore

AM, oltre ad essere la sigla acronima di Adriano e Mina, è la radice pre-indoeuropea (comune a tutte le lingue romanze) della parola Amore e di tutte le voci verbali e nominali che da essa derivano e che da millenni sono la principale fonte ispirativa di poeti, di parolieri e anche di qualche romantico writer sgrammaticato. Tutto questo pedante preambolo per anticiparvi che una buona metà dei titoli che compongono la caleidoscopica tracklist dell’attesissimo album Le migliori conterrà – variamente declinata e coniugata – questa più che mai feconda radice così cara all’umanità di ogni tempo e latitudine. L’eterna universalità dell’amore è, non a caso, l’idea portante del bel video – popolato di una seducente gioventù multietnica scorrazzante in skate board sotto l’abbagliante cielo californiano – che il regista Gaetano Morbioli ha girato sulle note dello splendido singolo di lancio Amami amami, canzone dal forte carattere che moltissimi – compreso chi scrive – hanno accolto con entusiasmo (il primo posto su iTunes parla da solo) ma che alcuni schizzinosoni non hanno esitato a stroncare senza mezzi termini: del resto, dall’odi et amo di Catullo al ti odio e poi ti amo di Alberto Testa, c’è tutta una gloriosa tradizione poetica che ci ricorda che, da che mondo è mondo, non esiste sentimento amoroso col quale non conviva il suo contrario. Certo, non hanno mancato di amareggiarci, tra le varie voci critiche levatesi contro il tormentone del momento, i toni livorosi con cui un autore del calibro di Cristiano Minellono – cui noi mazziniani saremo sempre grati per il testo della superba Anche tu musicata da Beppe Cantarelli – è arrivato non solo a definire Amami amami una “brutta canzone” (il che rientra nella legittima libertà dei gusti personali) ma ad apostrofare come “un milione di cretini” coloro che acquisteranno il nuovo disco della coppia più bella del mondo. Il che, se permettete, detto dal paroliere di Felicità di Al Bano e Romina, Mamma Maria dei Ricchi e Poveri, L’Italiano di Toto Cutugno e altri classici nazionalpopolari certamente rispettabilissimi ma non certo ascrivibili tra i più alti capolavori del pop novecentesco, suona a dir poco inelegante nonché stridente con la  nobile storia umana e artistica di un così scaltro marpione della parola cantata…