La fanzine numero 95 che riceverete entro la fine dell’anno sarà in buona parte dedicata al nuovo, attesissimo album che indagheremo minuziosamente canzone per canzone facendocene svelare i retroscena da (quasi) tutti gli autori, i musicisti e gli arrangiatori coinvolti. Ma ad arricchire il sommario ci sarà anche un lungo e appassionante dossier in cui il nostro Antonio Bianchi ripercorrerà la carriera mazziniana da un punto di vista fino a oggi poco esplorato sulle nostre pagine: il rapporti di Mina con la critica discografica. Da questa storia raccontata “nero su bianco” – cui faranno da corollario le testimonianze eccellenti di Franco Zanetti (direttore di rockol nonché ghost writer da decenni dei comunicati stampa PDU), Enrico Casarini di Sorrisi e Canzoni e Stefano Crippa de Il Manifesto – abbiamo estratto uno degli ultimi paragrafi relativi (ahinoi) ai giorni nostri.
di Antonio Bianchi
(…) Le grandi firme hanno perso d’importanza. Il loro giudizio non è più pregnante di un like o di un dislike attribuito da un qualsiasi fruitore di internet. La rete pullula di haters e commentatori analfabeti ma anche di appassionati così ferrati da far impallidire – letteralmente – i critici e gli esperti più riveriti. Ma l’esperienza, la preparazione e le consapevolezze di chi ha ascoltato tanta musica sono recepite come inutili pedanterie. Chiunque può esporre il proprio parere. L’importante è che la musica “mi arrivi” o “non mi arrivi”. È questo l’insegnamento dei talent. Che hanno contribuito a ridimensionare il ruolo degli esperti musicali, schierando giudici, coach (X Factor, The Voice…) e piccole platee di critici, giornalisti, dj e addetti ai lavori (Amici di Maria De Filippi) che rappresentano ormai la massima occasione di visibilità per alcune firme storiche del giornalismo musicale italiano. Fa una certa impressione – per chi leggeva i loro articoli ancora ammantati d’autorevolezza – ascoltarli in quel contesto, cauti, deferenti, accorti, attenti a non urtare la sensibilità dei ragazzini in gara e ad assecondare il giudizio del “pubblico sovrano”. Perché, con la formula dei talent, il ruolo dei critici è irriso e maldestramente subordinato a quello degli spettatori. Che, di norma, premiano la mediocrità. Più o meno pilotata. Perché anche il giudizio “spontaneo” è quasi sempre condizionato e guidato.La capacità di riconoscere la qualità è oggi confusa con la capacità di indovinare il successo. E anche il gergo della musica pop è oggetto di una curiosa metamorfosi. Il termine “tormentone”, un tempo, era associato alle canzoncine sciocchine che si appiccicavano in testa nostro malgrado. Oggi questa parola ha perso la connotazione negativa. Ed è utilizzata anche per designare capolavori che hanno contrassegnato un’epoca. Un’esigenza scaturita per non discriminare fra pubblico attento e pubblico pecorone. Il ritratto perfetto dell’Italia musicale di questi ultimi anni. (…)