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Pubblicato: 6 anni ago

Panta Rea

Danilo Rea la nostra fanzine ha dedicato, nel corso dei decenni, più di un’intervista (a cominciare da quella che gli fece nel n° 48 il caro Flavio Merkel fino a quella più recentemente firmata da Stefano Crippa nel n° 69). Ma per chi volesse saperne – molto – di più sui quarant’anni di splendida carriera di quello che è unanimemente considerato uno dei più grandi pianisti della scena jazz e pop italiana e internazionale, è d’obbligo l’acquisto della sua autobiografia – dal titolo Il jazzista imperfetto – pubblicata in questi giorni dalla RaiEri (236 pagine, 18 euro). Dal lungo capitolo in cui Rea ripercorre le tappe della sua ormai quasi trentennale collaborazione con Mina abbiamo scelto alcuni brevi estratti. Per leggere il resto, correte in libreria…

“Mina è una che fa gruppo. Quando si sente circondata da persone che stima, non ha nessuna voglia di cambiare. Ricordo che una volta, per incidere un pezzo particolare, le suggerii dei musicisti americani ma le non ne volle sapere, preferiva farsi accompagnare dai fedelissimi di sempre”.

“Ben presto capii che Mina era un’anomalia del sistema. Quello dei cantanti è un lavoro da amanuensi: avendo la possibilità di incidere e sovraincidere più volte, su un disco puoi starci anche un mese. Con Mina è diverso. Ti lascia la massima libertà. Il suo approccio è semplice: entra in sala e ci resta non più di due o tre ore. Propone un brano scelto al momento in una sorta di estrazione del lotto: ‘Vi piace How deep is your love’? Una volta scelto il brano, arriva in tempo reale una traccia con il testo e l’armonia, di quelle che trovi nei negozi di musica o su YouTube. A quel punto, in un’ora e mezzo devi tirar fuori il pezzo e registrarlo. Per questo Mina si è sempre circondata di improvvisatori, perché è molto jazz”.

“Io ho suonato spesso sui brani evergreen, mettendo al servizio la mia capacità di improvvisare. Un lavoro per niente semplice. Mina inventa gli arrangiamenti mentre canta, dando le direttive al volo: ‘Ora a solo di piano! Qui rullata di batteria!’. Mente suoniamo, spesso capita che lei, in cuffia e in tempo reale, ci chieda di cambiare repentinamente il ritmo: ‘Facciamola beguine, ora jazz’  o ci sospinga in arrampicate sempre più ardite, con salti di ottave, che solo lei può sostenere grazie alla sua estensione vocale. Quando improvvisammo su Ancora di Eduardo De Crescenzo, mi spronava a salire, salire, salire fino a picchi mai raggiunti”.

“Mina ama incastrare la strofa di un brano con un inciso di un altro. Ad esempio, è capace di iniziare con Let it be per proseguire con il ritornello di Ruby Tuesday (…). In La canzone di Marinella, cantata in duo con De Andrè, si inventò un gioco ritmico prevedendo che Fabrizio avrebbe cantato nel tempo di valzer originale. Lei invece scelse di cantare la sua parte in 4/4, quindi rallentando di molto la metrica con un effetto di maggiore sospensione drammatica. Un’impresa non da poco che richiese musicisti di grande esperienza e duttilità come Alfredo Golino alla batteria e Massimo Moriconi al basso. Una caratteristica peculiare di Mina è la perfezione ritmica, rara tra i cantanti italiani. Ha la precisione di un batterista”.

“Non è facile seguirla perché ha una dilatazione del tempo tutta sua, come Chet Baker. Ma quando si crea la giusta alchimia, il risultato ha del miracoloso”.