Il Blog

Pubblicato: 9 anni ago

La verità, ti prego, sulla Voce

In occasione del convegno “La voce artistica” tenutosi a Ravenna nel 2011, Giulia Fasolino e Massimo Guerini posero a Mina alcune domande sull’argomento. Ne venne fuori un’eccezionale intervista che, a quattro anni di distanza, siamo lieti di proporvi per la prima volta…

Intervista a Mina di Giulia Fasolino e Massimo Guerini (www.cambiomusica.com)

Una premessa è d’obbligo. Ci sentiamo emozionati e grati per avere la possibilità  di portare la testimonianza di una delle più prestigiose voci al mondo: MINA.

La cantante non rilascia dichiarazioni dal suo abbandono delle scene che risale al 1978, e in effetti la nostra non si può definire un’intervista vera e propria. Ma è la prima volta che Mina risponde ad una serie di domande sulla storia della sua voce esclusivamente. Siamo certi che per voi sara’  interessante scoprire il suo pensiero.

La grandezza di Mina, riascoltandola, è forse riassumibile nell’assoluta “semplicità” nel raccontarsi.  Un viaggio, un momento, un addio, un amore tradito, momenti che in molti abbiamo vissuto prendono una forma e un’espressività uniche sulle labbra di Mina.

Nel primo periodo della carriera, con i brani che tutti conosciamo come “Le mille bolle blu” o “Brava” sorprendeva la facilità espressiva con la quale Mina gestiva una vocalità così importante. La voce era squillante e ricchissima di armonici. I brani prendevano forma nella parte alta del registro per ovvie ragioni legate all’età e allo stile.

Le prime risposte di Mina fanno sorridere per umilta’ e franchezza, quasi disarmanti:

Le biografie parlano delle tue prime esibizioni in pubblico nel ’58, con un riscontro immediato  delle tue potenzialità vocali. Cosa successe prima di allora? È stato tutto casuale o coltivavi dentro te la tua arte?

Non parlerei di arte. Noi, poveri canzonettisti, siamo mal sopportati dalla critica musicale “colta” che morirebbe di un colpo se mi arrogassi il diritto di definire arte il mio modesto lavoro. Comunque, no. Non coltivavo gran che. Aprivo la bocca per rifare a modo mio, già allora, i pezzi del momento.

Come succedeva? Cantavi sui dischi, con amici?

Non cantavo sui dischi. Mi ricordo che, qualche volta, ho cantato in classe, tra un’ora e l’altra.

Chi è stato il primo ad accorgersi del tuo talento?

Ecco, questo proprio non me lo ricordo. Forse i ragazzi del primo gruppo, quello col  quale ho iniziato.

Prima di incontrare un pubblico, data la giovanissima età, ci sono state delle persone che ti hanno guidato o consigliato nell’uso vocale?

No, nessuno.

Hai mai preso lezioni di canto?

No.

C’è stato qualche evento che ti ha portato a interessarti di tecnica vocale? Se sì, cosa t’incuriosiva in particolare?

La tecnica viene da sola, ma prima deve esserci il cuore. La tecnica vera, quella potente è quella di Cecilia Bartoli che fa dei picchiettati tanto impossibili da sembrare artificiali. Lì si può parlare di tecnica.  

I primi anni da artista sono stati febbrili e incalzanti, la tua voce come reagiva? Ti capitava di essere stanca o di riscontrare dei cambiamenti timbrici?

Non ci facevo caso. A posteriori mi sono resa conto che la mia voce acquistava spessore e rotondità.

Come ti preparavi alle incisioni discografiche o alle prestazioni dal vivo, avevi una modalità di riscaldamento vocale?

Come no: certo. Fumavo una bella sigarettina, tra gli sguardi attoniti di chi non sapeva che per cantare canzonette non c’è bisogno di troppe attenzioni, diciamo così, salutistiche. Non si tratta della “Carmen”…

Nella prima parte della tua carriera, si riscontra un uso prevalente di tonalità da mezzosoprano-soprano, da cosa era dettato questo indirizzo, dalla giovane età, da esigenze artistiche e di produzione, o da una decisione e ricerca personale?

Nessuna ricerca. Come ho detto prima, me ne sono accorta anch’io, ma molto tempo dopo. In corso d’opera non ne avevo coscienza.

Si percepisce inoltre un’evoluzione vocale, in cui la parte bassa dell’estensione, in un secondo tempo, ha acquistato maggiore rilevanza: com’è avvenuta?

Io non lo so. C’è qualcuno che me lo può spiegare? Grazie.

Sei stata condizionata nella selezione dei brani dalla tua straordinaria dote? Le canzoni dovevano rispecchiare le tue proprietà vocali, o prevaleva un giudizio sulla composizione?

Prevaleva il gusto personale. Non ho mai fatto un pezzo che non mi piacesse. Comunque io ascolto e tengo in considerazione soprattutto la musica. I testi sono secondari.

Anni ’60 e ’70: una carriera senza un attimo di respiro. Quanto ha influito lo stress, dovuto a vari fattori, sull’impegno vocale?

Zero, per fortuna. Tra le pochissime doti che possiedo c’è quella dell’esercizio costante del controllo assoluto.

Negli anni in cui hai affrontato il percorso vocale “dal vivo”, sia televisivo che concerti, se presenti, come risolvevi i problemi di ascolto della tua voce? Hai mai avuto esigenze rispetto a microfoni o amplificazione? Cosa curavi nel missaggio degli strumenti?

Quello è sempre stato un po’ un problema. Lavoravamo con un piccolo altoparlante che rimandava la voce. Ti parlo della fine del Settecento… Per quanto riguarda il missaggio, parto sempre dal basso… dal contrabbasso. Su quello “appoggio” tutto il resto.

Dai tuoi esordi a oggi, hai assistito ad un’evoluzione tecnologica rivoluzionaria, in materia di audio, cosa avresti mantenuto immutato dal tuo punto di vista di cantante?

Lavoro con un vecchio adorato microfono, segnato con dello smalto rosso per paura che me lo cambino. Non ho mai più trovato di meglio.

Tu sei una delle poche cantanti al mondo che si può permettere di affrontare qualsiasi genere musicale, mantenendo intatta la propria identità vocale, c’è però un genere in particolare che prediligi?

Lo dico sottovoce. Il jazz, gli standard americani, le ballad sempre americane.

Quali “voci” ti hanno affascinato e influenzato?

Mi devo ancora riavere dalla botta che mi ha dato sentire Sarah Vaughn per la prima volta. Ti viene voglia di cambiare mestiere. Da Sinatra ho imparato l’inglese e i “pianissimo”. E poi tanti altri che mi accompagnano ancora adesso.

Cosa ti colpisce in una “voce”?

Il colore, la particolarità.

La “voce” è indiscutibilmente un mezzo di comunicazione, un dono, e tu ne sei un esempio straordinario, che consigli daresti a chi possiede questo dono?

Aiuto, non saprei… Direi che se qualcosa di reale, di pesante, di prezioso esiste veramente, prima o poi viene fuori. Quindi: non mollate.