Le loro bocche vi diranno

Non era mai successo, nella storia ormai trentennale del Mina Fan Club, che un'edizione tutta intera della nostra rivista fosse dedicata ad un unico album. Cosa che avverrà, invece, nel prossimo - non imminentissimo - numero 69 della fanzine per Sulla tua bocca lo dirò. Di questo disco straordinario, come ben sapete, molta stampa "specializzata" ha parlato poco e male. O meglio: ne ha blaterato fin troppo e a sproposito alla vigilia di Sanremo, riservando ogni attenzione agli aspetti più banalmente gossipari dell'operazione ("Mina torna?", "Non torna?", "Ma si vedrà? No? E allora prende in giro la gente!") che nulla avevano a che vedere con quelli più altamente artistici, i soli in nome dei quali la Signora ha accettato di esporsi al tritacarne mediatico festivaliero. 

L'impressione è che siano stati ben pochi i critici capaci di accostarsi a questo disco cercando di ripulire il cuore e le orecchie dai soliti pregiudizi settari duri a morire, quelli per i quali ad un artista pop deve essere precluso a priori ogni sforamento nei terreni "minati" della musica colta. Persino una nobile firma storicamente devota a Casa Mazzini come l'amato
Mario De Luigi di Musica e Dischi, pur premettendo che "Mina, con quella voce, può cantare quel che vuole, sicura che critica e pubblico saranno sempre unanimi nell'ascoltarla reverenti anche nel caso le saltasse l'estro di rivisitare il repertorio delle osterie", non ha nascosto di essere stato tentato, dopo il primo ascolto del disco, di unirsi al coro dei puristi pronti a gridare dal loggione: "A Mina, arridacce Tintarella di luna!"

La migliore risposta a certe accuse di "lesa maestà" mosse dai soliti barricaderi del Belcanto (e da qualche qualunquista di Nessunconto) sta, forse, nelle illuminanti parole di un grande Maestro che la Musica preferisce da sempre farla e sentirla piuttosto che parlarne, ovvero il violinista
Salvatore Accardo: "Non smetterò mai di credere che un'educazione musicale è fondamentale. Parlo soprattutto dei giovani. Il mio sogno più grande è quello di far conoscere ai giovani ogni genere musicale, perché è importante scegliere, ma è altrettanto importante sapere cosa scegliere. Sia che si tratti di Zucchero che di Beethoven. I bambini hanno una sensibilità eccezionale, è un peccato non coltivarla. Anch'io sono stato e sono tuttora vittima di passioni musicali lontane dal mio mondo, parlo dei Beatles o di Mina. Ed è giusto che sia così, perché la musica non ha prigioni e bisogna essere ben disposti ad ascoltarla".

Noi, nel nostro piccolo, abbiamo voluto fare tesoro di questa grande lezione di saggezza dell'eccelso Accardo e nella prossima fanzine lasceremo che a parlare del nuovo album siano soprattutto i grandi professionisti che vi hanno suonato: il primo violino
Anthony Flint, l'arpista Anna Loro, il trombonista Floriano Rosini, nonché Mister Clarinetto-Sax-Ocarina Gabriele Comeglio che coglierà quest'occasione per ripercorrere per noi la sua ormai venticinquennale collaborazione con Mina. A svelarci curiosità e retroscena di Sulla tua bocca lo dirò ci saranno, naturalmente, anche altri protagonisti a vario titolo del progetto, da Massimiliano Pani ad Alba Ferrio, da Mauro Balletti a Luca Ciuti (giovane e già affermato direttore della fotografia che ha avuto l'onore di curare le riprese in digitale dei vari momenti di backstage nell'Auditorium della RTSI di Lugano). Completeranno il dossier la consueta analisi "nota per nota" dell'album curata dal nostro Minologo Numero Uno Antonio Bianchi, un mio ben più velleitario excursus dedicato alle mille divagazioni più o meno esplicite compiute da Mina in ambito classico dai tempi della beethoveniana Passion Flowers in poi e, dulcis in fundo, i personalissimi (ed entusiastici) punti di vista sul disco di due fans mazziniani d'eccezione: la grande giornalista Rina Gagliardi e il direttore artistico della Fenice di Venezia Sergio Segalini, entrambi nostri soci onorari di vecchia data. Ma non mancheranno altre sorprese...
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Appuntamento a Ischia (e a Milano)

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A cinquant'anni esatti da quella rovente estate di fine anni Cinquanta in cui Mina furoreggiava ogni sera al Garden dell'Hotel Moresco di Ischia con i suoi Solitari, l'incantevole isola partenopea si appresta a celebrare il Mito della Tigre con una serie di eventi da non perdere. Lanciata dal quotidiano Il Golfo e coordinata da Raffaele Mattera, l'iniziativa è stata subito accolta con entusiasmo dal Comune di Ischia e da varie associazioni locali di albergatori e commercianti. Ad inaugurare i festeggiamenti, il 30 maggio, sarà una grande mostra curata dal fan-collezionista Gianni Tesoro in programma fino al 31 luglio. Da giugno ad agosto, poi, foto, articoli e memorabilia di Mina tappezzeranno le vie principali dell'isola e le vetrine dei negozi, mentre per tutto luglio sono previste serate di gala e minicrociere su una nave-orchestra in cui saranno eseguite le sue canzoni. Ma non è finita: ispirandosi ad un'idea di Vincenzo Mollica, i curatori di Ischia Global Film & Music Fest, grande rassegna cinematografica di rilevanza mondiale in programma dal 12 al 19 luglio, stanno anch'essi preparando un omaggio a Mina attraverso una retrospettiva dedicata ai suoi "musicarelli" di inizio carriera, a cominciare naturalmente da Appuntamento a Ischia. E voi che ancora vi chiedevate dove mai poter trascorrere le prossime vacanze...

Altro rendez-vous imperdibile per ogni fan che rispetti è quello previsto per
sabato 21 e domenica 22 marzo (dalle 12 in poi) nel Salotto di Madame X di via Grazioli 22 (zona Maciachini). Nadia Vergano Maggiora invita tutti voi nel suo Tempio minoso per due piacevolissimi pomeriggi ricchi di sorprese. Per informazioni, scrivete direttamente a lei all'indirizzo mail: madamex@fastwebnet.it
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La recensione che mancava...

...è quella su La tua bocca lo dirò che, come sempre avvenuto negli anni passati, Stefano Crippa avrebbe dovuto proporci sulle pagine de Il Manifesto all'indomani dell'uscita dell'album. In attesa di tornare più diffusamente sull'argomento nell'inserto culturale Alias che sarà allegato al quotidiano comunista il prossimo 14 marzo, il nostro amico critico ci ha voluto anticipare le sue prime impressioni "da fan" sul disco...



La signora ci fissa. Un volto su sfondo grigio che occupa la copertina piena, occhi bistrati, bocca che suggerisce chissà che cosa. E Sulla tua bocca lo dirò non a caso è il titolo di questo suo nuovo incontro con la musica. Cosa ha combinato questa volta la signora Mazzini? Ha messo in pratica il sogno di sempre: "E' il disco della mia vita", sembra abbia detto a chi le chiedeva il perché di questa scelta. Eh sì, perché questa volta non c'è pop, jazz, canzoni napoletane o cantautorato sparso che tenga; questa volta, signori, la scelta è caduta - reggetevi forte - sul melodramma. Puccini, Albinoni, Cilea - questa robina qui - a cui, tanto per agitare le acque, Mina infila pagine del melodramma che con qualche azzardo potremmo definire novecentesco. Ecco quindi Bernstein e Gershwin, addirittura il tango seducente e triste di Piazzolla. A cucinare tutto ci si è messo il maestro Gianni Ferrio, e chi se non lui poteva venire a capo di un'impresa del genere, trasportare - come si legge nelle note introduttive del disco: "grandi arie in una dimensione musicalmente inedita, rispettosa della composizione originale, ma armonicamente innovativa e all'avanguardia".
Il risultato è affascinante, curioso, spesso commovente. Certo che è l'attacco di Mina, con quella voce che scivola magistrale su Mi chiamamo Mimì riporta alla memoria l'altra versione televisiva con Dorelli, sempre arrangiata da Ferrio, che anche all'epoca scatenò polemiche fra i puristi. Cosa che sta puntualmente accadendo ora. Il problema è il metodo, o meglio l'approccio musicale: Mina non ha inteso profanare la lirica, non si è rapportata come soprano, ha adattato quell'universo musicale che tanto l'affascinava al suo sentire musicale, e al suo essere artista a tutto tondo (e orgogliosamente) pop.
Ma non si tratta di un crossover, le operazioni alla Michael Bolton o all'Albano per intenderci, che snaturano il senso delle arie classiche e gli innestano elementi ad uso e consumo delle masse. Mina ha fatto un'operazione alta, e diversa, proprio per il rispetto che nutre verso il genio compositivo di Puccini o di Bernstein, li ha voluti nella loro classicità, non li ha "contaminati" con strumenti tradizionali, ma li ha eseguiti con il supporto dell'orchestra classica e per una vocalità leggera. Come a suo tempo rilesse i canti sacri e più recentemente, le arie popolari napoletane. Vocalmente è stupefacente, tono integro, passaggi dalle note basse agli acuti ancora prodigiose (si ascolti l'ultimo passaggio di I have a love, il tu tenuto per un tempo impossibile e senza cedimenti nell'Adagio di Albinoni, con testo di Calabrese). Non c'è effetto parodia o, peggio, da musical. E non si cerchi il "progetto a tutti i costi" che negli album di Mina, in realtà, non c'è mai stato. Il progetto di Mina è la musica, quella che sente da sempre, senza implicazioni razziste fatti di canzoni o arie di serie A o di serie B. Ora che da tre lustri le è più semplice variare menù, svincolata dagli obblighi a cui la costringevano i doppi canonici pubblicati fino al 1995, si muove con maggiore libertà. Canta, Mina, e se la prossima volta saranno i canti francescani a incuriosirti, beh, saremo sempre qui ad aspettarti...
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Ho sognato di essere Mina


di Elvio Boeri

 
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Oggi ho vagato per ore e ore nell’avvolgente umidità di una giornata plumbea come un essere incorporeo, con le cuffiette del mio iPod ben piantate nelle orecchie con il volume a manetta, abbandonandomi alla commozione di versi conosciuti e riconosciuti, camminando o forse sorvolando le strade di una città caotica, una città fatta di auto indisciplinate, di gente inespressiva e nevrotica che corre e non ha occhi per vedere aldilà del suo naso e che quindi non può vedere le lacrime che non riesco a trattenere mentre cadono miste alla pioggerella fine e provvidenziale sugli ombrelli scuri di persone grigie come me.

Vago immerso in una voce che mi sta lacerando l’anima, un’anima malata e rabbiosa per tutto ciò che non è in grado di comprendere di questi tempi, anch’essi malati e rabbiosi, in cui le occasioni per tirare un respiro di sollievo diventano sempre più rare e sembrano irraggiungibili perfino quando credi di essere al riparo nel calore delle pareti domestiche da cui ti aspetteresti un’accoglienza nota, ma che sbagli se consideri scontata.

E’ un’anima la mia che, oggi come ieri e forse più, cerca rifugio in un sorriso, in una parola, in uno sguardo sereno e trova la sua cuccia in una voce, quella voce che da anni, consapevole o no, va a cercare per trovare nell’intimo quell’attimo di dolce evasione e di quel genere di conforto che il corpo trova nell’aria, nell’acqua e nel cibo. L’anima per vivere si nutre di altra anima e solo quando la incontra, non importa dove, è capace di infondere al corpo una gioia rara, una gioia tanto grande da far scoppiare il cuore di felicità. Quel cuore che scandisce il ritmo di una vita nella vita stessa. La mia vita ora si colora ed è la vita di Mimì. La sento attraversarmi come una sferzata dolcissima ma implacabile. Improvvisamente mi trovo tremante al freddo di una soffitta come mai prima mi era successo. Cambia il paesaggio e mi trovo a seguire un percorso accompagnato per mano da quella voce “
lungo le vie del cielo” fino a scompormi dentro a un sogno pregno di una festosa realtà in cui io non sono che il tavolo intorno al quale un gruppo di amici mai così ciarlieri sta festeggiando un grande avvenimento. Li osservo ridere, brindare e stringersi le mani beandosi di tanta bellezza, rinvigoriti dalla consapevolezza che la loro musica è riuscita ad andare ben oltre la ruggine dell’ego che oscura le menti di certi uomini convinti di possedere la chiave di un certo scrigno in cui, a loro avviso, è custodita una verità che mai è stata scritta.

C’è Giacomo che fuma, ride e si riconosce in quella dolcezza vocale come, guardandosi allo specchio, riconosce i suoi occhi lucidi di commozione e si lascia abbracciare da se stesso. Leonard, Francesco e Tomaso, già un po’ alticci, continuano a brindare rumorosamente e vengono zittiti dall’irascibile George che una Bess così avrebbe voluto incontrarla almeno una volta nella vita. A consolarlo c’è Astor che quella Bess l’ha incontrata davvero e da allora la sua vita non è più stata la stessa. La loro gioia di scoprirsi così vivi è talmente palpabile che non posso che impregnarmene, e divento ora Porgy e ora Bess, per un attimo sono Manon e poi Maria, Cavaradossi, il principe Calaf. Sono Mina.
E mentre comincio a prenderci gusto, improvvisamente torno a essere l’uomo che ero, proprio nell’istante in cui il silenzio irrompe come un suono insopportabile nelle mie orecchie e mi catapulta in mezzo alla gente per strada. C’è però in me qualcosa di diverso. Ho la netta sensazione di essere meno grigio, meno rabbioso. Rinfrancato.

Ne ho la conferma quando di fronte a me una bimba con il cappotto rosso alza la testa per incontrare lo sguardo della signora che le sta a fianco e le dice: «Hai visto mamma, quel signore è felice».
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Mina seconda in classifica,
perché lei c'è e la gente lo sa

Articolo pubblicato sul sito www.iconegay.it

Di Gianluigi
Capuani

Cosa vuol dire un debutto nella
classifica ufficiale dei dischi direttamente al secondo posto? Con un album di arie classiche di melodramma e lontano anni luce dal pop che piace alle masse?
Solo Mina può compiere questo tipo di miracolo. Solo lei può far parlare così tanto di sè da oscurare la fama marcescibile dei cantanti del
Festival e diventare notizia per il solo fatto di apparire musicalmente nella rassegna canora più famosa d'Italia. Mina è icona, Mina è voce, Mina è essenza del bel canto.
Mina piace. Punto. Anche quando i
critici e i colleghi si mettono d'accordo per demolirla. Maledetta invidia. Lei che vive a Lugano, lontano da quest'Italia confusa e smarrita per una classe politica inadeguata e una crisi che spaventa.  Lei che non si concede e da decenni non si vende alla tv, sovrana dittatrice, Mina ribelle. Lei che diventa evento per ogni disco che incide e lascia solchi di magia anche quando fa pop, anche se canta il sacro, se diventa latineggiante, quando omaggia Sinatra e Modugno.
Sulla tua bocca lo dirò" non è semplicemente un album di musica, è un mondo che si dischiude brano dopo brano, una finestra aperta sull'intimità dell'artista, e noi così abbiamo modo di conoscerla attraverso i suoi gusti, le preferenze musicali che ci dona cantandole a modo suo. Ed ecco che un disco diventa ben più di un'apparizione in un qualsiasi programma televisivo, perchè con questa sequela di interpretazioni Mina si racconta profondamente, con intensità irraggiungibile da un voyeuristico quanto improbabile ritorno sulle scene.
Il
secondo posto in classifica Fimi testimonia l'affetto e la fedeltà dei fan, certo, ma anche l'abisso che separa gli italiani dagli addetti ai lavori (mai così impietosi con lei). Il "popolo" sa riconoscere un'opera d'arte quando la incontra, e se ne frega altamente delle bocciature, più o meno illustri, delle invidie, malcelate o palesi, dello scontento delle tv, brutali padrone dei giorni nostri, ma non dei nostri gusti.
Meno male che c'è lei allora. Sì, Mina è l'ultimo baluardo della libertà artistica, modello che molti cantanti vorrebbero imitare, ma mai ripetibile. Mina c'è. E con lei il suo mondo e la sua inesauribile magia.
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E' la solita storia...

La più bella recensione di Sulla tua bocca lo dirò letta finora? E' certamente quella scritta da Alberto Mattioli, del quotidiano La Stampa, all'indomani del discusso exploit sanremese di Mina:"Nulla dà più fastidio a chi ama l'opera di sentirla cantare da una voce pop. Ma, come tutte le regole, anche questa ha un'eccezione: se chi canta è un genio. E allora può capitare che Mina esegua a modo suo la romanza di Calaf del terz'atto della Turandot di Puccini, insomma la classica Nessun dorma e ci faccia capire questa musica più di molti che l'hanno cantata a teatro. Perché ci spiega che è un soliloquio, non un comizio. Che il Principe ignoto sta parlando a se stesso, non ad uno stadio. Che il suo si acuto è un messaggio alla luna, non al loggione. Che il rubato esalta la melodia, alla faccia di tutti i bidelli di Toscanini. Che un Calaf en travesti solletica l'anima neobarocca di questa nostra era di confusione dei generi. Che l'opera italiana è anche questo (beninteso, non solo): la magia primordiale di un timbro inconfondibile, unico e prezioso come tutti i tesori d'Oriente. E che, infine, è sempre Mina la Callas del pop".

Alle lodi sperticate di Mattioli (pienamente condivise dalla stragrande maggioranza dei fans mazziniani) hanno fatto da contraltare, come era facile prevedere, le perplessità sull'operazione manifestate dai melomani più intransigenti. Come quel Guido Barbieri che, su La Repubblica di ieri, ha trovato opinabile "la pretesa dell'album di dimostrare che una voce tecnicamente istintiva e stilisticamente non allevata come quella di Mina sia in grado di affrontare senza danni la scrittura vocale dell'Opera italiana dell'Ottocento, mettendo sotto lo stesso ombrello Puccini e Bernstein, Cilea e Piazzolla"
Nihil novi sub solem: più o meno le stesse critiche erano già piovute su Mina (e Ferrio) ai tempi dell'esperimento-Bohème in chiave Broadway tentato a Teatro 10 con la complicità di Johnny Dorelli nei panni di Rodolfo. Il nobile e coraggioso tentativo di presentare Puccini come un precursore del moderno musical fu bollato da molti loggionisti da curva sud come una profanazione imperdonabile.

Altrettanto puntuali gli scudi degli integralisti del Belcanto tornarono a levarsi contro la strepitosa 
Vesti la Giubba proposta in apertura del volume di inediti di Ridi pagliaccio, nel 1988. "La Voce non è dèssa", sentenziò sulle pagine de Il Giorno l'inflessibile critico Lorenzo Arruga, prontamente smentito dalla pasionaria Rina Gagliardi che, su Liberazione, invitava invece a godersi l'esecuzione della Tigre senza troppi pregiudizi settari: "Come la canta Mina? Benissimo, naturalmente. Ne rende evidente la natura: una bella canzone melanconica che può utilmente essere mascherata non dentro ad una cornice di ironia, ma in una sorta di riduzione, molto soft, a classico leggero americano. Alla fine, ne emerge un pathos che di lirico (in senso 'forte') non ha nulla, ma che ha acquistato, in compenso, il pathos a misura di Mina, la riconoscibile scala melodrammatica di molte delle sue canzoni...". 

A proposito di Rina: la grande giornalista ed ex-senatrice, da tempo assente - impegnata com'è su altri fronti - dalle pagine della nostra fanzine, tornerà finalmente a scrivere per noi nel prossimo numero proprio per parlarci (con grande amore ed entusiasmo) del nuovo album. A Sulla tua bocca lo dirò dedicheremo, inutile dirlo, un ricchissimo dossier con la preziosa collaborazione di Antonio Bianchi e con le imperdibili testimonianze di Massimiliano Pani, Gianni e Alba Ferrio, Gabriele Comeglio e musicisti vari (uno dei quali, il trombonista di Verres Floriano Rosini, abbiamo la fortuna di averlo a pochi chilometri da casa...). 
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